Come responsabile del marchio Expo, il BIE (Bureau International des Expositions) ha stabilito che le Esposizioni universali di terza generazione, come quella di Milano, devono avere luogo in un’area espositiva non edificata che tale deve tornare al termine dell’evento.
“Eravamo estremamente curiosi di entrare nel sito espositivo. Volevamo in qualche modo esorcizzare l’immagine negativa che si era creata attorno ai cantieri dell’Expo” dice Matteo Cirenei che dal 1991 porta avanti una ricerca sull’architettura milanese. “Siamo due architetti, per formazione attratti da come vengono realizzate le strutture. Per questo abbiamo voluto fissare per immagini le varie fasi di passaggio da costruzioni-non-rivestite a veri e propri padiglioni, mostrando le strutture, gli elementi costruttivi, la modularità, le modalità di assemblaggio di parti pre-costruite, i dettagli dei materiali, alternando queste viste più descrittive del momento di edificazione ad altre che cercano di far intravedere quella che sarà la forma finale, seppur per porzioni”.

Ispirati a un principio di sostenibilità i 53 padiglioni nazionali (record assoluto), i 9 cluster tematici e tutti gli altri edifici sono facilmente smontabili e riutilizzabili altrove. “Nonostante sia ancora un cantiere aperto, le nostre foto, seppure dove possibile colgano ampie visioni d’insieme, per il resto volutamente cercano di non mostrare troppo i materiali e i mezzi, ma piuttosto di isolare delle situazioni circostanziate, e, dove possibile per lo stato di avanzamento dei lavori, di afferrare la forma finale” spiega Marco Menghi. “Abbiamo deciso di iniziare questo progetto ponendo degli intervalli di circa un mese tra una visita e l’altra, per poter analizzare al meglio le differenze: se alcuni padiglioni sostanzialmente rimangono invariati nell’impianto generale, per altri si notano evoluzioni sia formali che dimensionali, alcuni infine proprio non c’erano e sono stati costruiti in un paio di settimane. Ora stiamo preparando l’ultimo ingresso prima dell’apertura di Expo. Ci aspettiamo di completare il nostro lavoro su un’estetica effimera legata all’intero complesso dei padiglioni, di cui non resterà più traccia”.

Marco e Matteo, entrambi architetti, collaborano spesso per progetti di ricerca oltre che su lavori commissionati: Matteo sedotto da ambienti e forme, Marco dall’aspetto umano (gli operai al lavoro) che diventa motore fondamentale per la realizzazione dell’intero complesso. “L’alta tecnologia che sta dietro ai progetti strutturali dei padiglioni, pensati tutti per poi essere interamente smontati e ricostruiti”, -continua Marco-“ è interamente applicata da piccole squadre di tecnici specializzati. Poche persone in grado di assemblare elementi per edifici molto grandi“.
“Abbiamo cercato di mostrare gli aspetti positivi legati a questo periodo di preparazione di Expo, al di là di tutte le polemiche, mostrando per quello che sono le opere in divenire e le persone che sono coinvolte nella loro realizzazione, e questo è un lavoro stimolante perché ritrae una realtà in velocissima trasformazione, ogni passaggio ci mostra un nuovo stadio di realizzazione, e un lavoro alacre in lotta contro il tempo”, conclude Matteo.
Il progetto di Matteo Cirenei e Marco Menghi verrà pubblicato su EXPOWALL

Foto a destra (scattata da Matteo Cirenei l’11 Marzo): il Padiglione Vanke con tutta la copertura ultimata.